L’AVVENTUROSA STORIA DEL FUMETTO AMATORIALE

di Giuliano Cerofolini e Leonardo Gori

seconda puntata

SECONDA PARTE DELL’AVVENTURA: ARRIVANO I "RISTAMPISTI", E IL MERCATO DELL’AMATORIALE ITALIANO LETTERALMENTE "ESPLODE". ORDE DI "NOSTALGICI" INVADONO LE MOSTRE-MERCATO, MA, PER FORTUNA, C’E’ SEMPRE CHI PENSA ALLA "FILOLOGIA"...

 

6. Riappare la gloriosa Casa Editrice Nerbini

Torniamo, con la nostra fidata cronosfera, al 1972. Gli albi amatoriali di Traverso e Scotto, realizzati con autentico spirito filologico, non accontentano tutti: qualche indizio di ciò si può trovare già nelle prime polemiche "interne" dell’ANAF, e nei precoci tentativi, subito abortiti, di ristampare "anastaticamente" il leggendario "Avventuroso". Anzi: sono veramente pochi, purtroppo, quelli pienamente soddisfatti dalle peraltro costose edizioni genovesi. I più entusiasti sono coloro che coniugano la passione per il collezionismo a un genuino interesse per il fumetto come forma d’arte, mettendo in secondo piano la nostalgia. Si tratta di un gruppo relativamente ristretto di persone, di varie età (non solo "ragazzi degli anni Trenta": ci sono dei quindicenni che fanno grossi sacrifici per comprare gli albi di Traverso). Molti altri, nel comicdom nostrano, probabilmente la maggioranza, inseguono invece solo il tempo perduto. Magari metterebbero volentieri le mani sugli albi e i giornali degli anni Trenta, ma non possono acquistarli (per i prezzi di mercato, indubbiamente molto alti) o addirittura non vogliono, perché il lato "avventuroso" della ricerca, l’ansia del "pezzo mancante", il godimento puramente estetico di fronte al "pezzo" d’epoca, non sono cose a tutti gradite o semplicemente comprensibili. E così sono pronti ad accogliere a braccia aperte le cosiddette ristampe "anastatiche", capaci di dar loro - con una spesa tutto sommato contenuta e senza fatica - l’illusione del ritorno agli anni della gioventù. Importa qualcosa, a costoro, di quello che una volta si definiva il "bel fumetto"? Ci permettiamo di dubitarne. Certo, anche molti "filologi", negli anni, pescheranno nel mercato dell’anastatico, perché i grandi settimanali e gli albi degli anni Trenta erano indubbiamente magnifici, e colmi di raro materiale. L’ANAF e i due Club Anni Trenta, d’altra parte, limitano le loro iniziative quasi solo a Brick Bradford e al Cino e Franco più o meno inedito, doppiandosi abbondantemente. E i favolosi eroi dell’avventura, da Gordon a Mandrake e all’Uomo Mascherato? Sono ancora saldamente in mano agli Spada, che però si limitano a una tutto sommato pregevole edizione delle tavole domenicali dei due eroi di Lee Falk. Il resto è stato ristampato (male, come sappiamo) dagli stessi editori romani nei primi anni Sessanta, e i vari "Super albi" e "Special" sono già dei veri e propri pezzi d’antiquariato. Latitano, insomma, le ristampe dei "pezzi da novanta" del fumetto americano. Se dovessero apparire delle "anastatiche" delle edizioni Nerbini d’anteguerra, perciò, non solo i nostalgici accaniti le accoglierebbero con gioia.

Molti fattori congiurano, comunque, per l’avvento delle cosiddette "ristampe anastatiche". All’alba degli anni Settanta, Giuliana Ghignoni e Alfonso Pichierri ereditano la "Grande Decaduta" Casa Editrice Nerbini, quella che portò per prima Topolino, Gordon e compagni in Italia: il fumetto è stato da tempo lasciato in disparte, privilegiando la riedizione dei volumi "storici" e le raccolte di "dispense" con le copertine di Tancredi Scarpelli. I coniugi Pichierri, animati da indubitabile entusiasmo, di fronte al successo dell’editoria "amatoriale" prendono in seria considerazione un rilancio del fumetto nei cataloghi della Casa Editrice. Saggiamente, cominciano con cautela a tastare il polso al mercato. Come prima mossa, all’inizio del 1971, allestiscono dei volumi che raccolgono buona parte delle "dispense" del poliziotto Petrosino, con dotte prefazioni di critici e "tuttologi" allora accreditati nel fandom nazionale, corredandole dei fumetti di Vichi apparsi su "L’Avventuroso" nel 1938. Poi, sull’onda del successo di un ottimo sceneggiato televisivo di Arrigo Petacco incentrato sul celebre poliziotto italo-americano, interpretato nel 1972 dal compianto Adolfo Celi ("stateve accorti a quello che fate / brutte facce ‘e Broccolino / è cominciato ‘nu repulisti fino / Joe Petrosino vi facci trimari" canta nella sigla finale Fred Bongusto) esce un volume che raccoglie integralmente la versione a fumetti d’epoca prima rammentata. Nel Novembre di quell’anno, a Lucca 8, lo stand della Nerbini è occupato tutto da una sorta di originale giornalone di grandissimo formato, un mega-depliant ripiegato in quattro parti, con riproduzioni a colori delle più note serie a fumetti italiane degli anni Trenta made in Florence. È una promessa formale a tutti gli appassionati e ai "nostalgici". Sembra che l’intento della coppia Pichierri si limiti a voler ripresentare più o meno organicamente proprio questa particolare produzione "autarchica". Fanno fede di ciò il volume Fumetti d’oro Nerbini, contraltare del fortunato tomo Le grandi firme del Fumetto Italiano di matrice linusiana e milanocentrica (certo di ben altro spessore artistico e anche critico), e soprattutto i due "albi vari" distribuiti in edicola verso la fine del 1972: Il gaucho nero (£. 250) e La regina d’Atalanta (£. 850). Lussuosi, su carta di gran pregio, imitano l’impostazione delle "Grandi storie" topoliniane di Mondadori di qualche anno prima. La copertina è infatti "doppia": quella esterna, certo non bella, in pieno stile anni Settanta, è disegnata da Mario Fantoni, figlio del Guido già fido collaboratore di Mario Nerbini e riporta le indicazioni editoriali e il prezzo; quella interna è una replica fotografica abbastanza fedele del fascinosissimo "pezzo" originale.

Ma i comics italiani non "tirano" abbastanza, ed è comprensibile. Quello di Nerbini, nella memoria dei "ragazzi degli anni Trenta" e nella fantasia di tutti gli appassionati, è un marchio indissolubilmente legato a Gordon, a Mandrake, all’Uomo Mascherato, a Cino e Franco. E allora, proprio con questi ultimi (che erano stati i primi, nel 1933, ad approdare in riva all’Arno) si comincia il piano di "invasione" del mercato dei "nostalgici". Una locandina da edicola è impostata sulla simpatica idea di un telegramma, in cui le inconfondibili immagini dei due ragazzi-esploratori d’antan, nell’interpretazione di Giove Toppi, annunciano l’evento. E finalmente, in tutte le edicole, nell’aprile del 1973, appare l’albo Sotto la bandiera del re della giungla. Wow! Somiglia indubbiamente moltissimo all’originale del 1934, e costa solo 600 lire. La ristampa forse non è perfetta, ma certo c’è un abisso rispetto alle edizioni Spada delle stesse avventure. Legioni di "ragazzi degli anni Trenta" tornano a frequentare le edicole con entusiasmo. Pichierri manda in estasi "nostalgici", appassionati e perfino molti ragazzini. In epoca di pocket, lo sviluppo orizzontale del grande albone bicolore, con i gloriosi disegni di Alex Raymond, colpisce difatti moltissimo. Si dà vita, intanto, anche a un "Club amici di Nerbini", con una simpatica fanzine dal titolo "Il Nerbiniano": il primo numero esce nel giugno 1973, e ne verranno allestiti in tutto oltre quaranta, fra serie regolare e supplementi, fino all’agosto 1982.

Ma anche se tutti i fans seguono con passione la collana, scrivendo moltissime lettere in redazione, che daranno poi vita a una simpatica rubrica della posta, le vendite non sono esaltanti, e la diffusione capillare nei chioschi comporta troppe spese di gestione, oltre ai "tiri mancini" da parte dei distributori. L’esperienza dell’edicola, per vari motivi, è quindi decisamente negativa. Del resto non poteva essere altrimenti: già negli anni Trenta, il progressivo scadimento qualitativo delle storie di Cino e Franco, da Una strana avventura tra i gorilla in poi, aveva messo in crisi "Il giornale di Cino e Franco". A parte i super-appassionati, la riproposta delle storie successive (in tutto 17 albi, con cadenza mensile) non poteva certo sortire risultati migliori fra i lettori "comuni" degli anni Settanta. Pichierri tenta un’altra carta, anche questa "nostalgica" ma diretta a un pubblico relativamente più giovane, con gli albetti del "Raff" di Vittorio Cossio (che francamente non si capisce cosa c’entri con la Nerbini). Poi, in contemporanea a una bella mostra mercato nel prestigioso Palazzo dei Congressi di Firenze (è il "I convegno Amici di Nerbini", e si svolge nel giugno del 1974) prende una decisione "storica": il piano di riproposta sistematica degli albi "d’epoca" andrà regolarmente avanti, ma limitato al solo circuito dell’"amatoriale". È una mossa vincente, anche se lascia un po’ l’amaro in bocca ai non pochi giovanissimi e a chi non ha disponibilità finanziarie, e magari sperava di veder tornare magicamente nelle edicole i tesori degli anni Trenta. La prima serie "a circuito chiuso", quella degli albi di Jim della Giungla, ha infatti un prezzo complessivo di 6.000 lire (per i primi tre albi), più del triplo del costo dei "Cino e Franco"! Ma intanto si è già varato il "Grande Progetto": "Et voilà! Leviamo l’elefante dal cilindro!", commenta Luciano Tamagnini su "Il fumetto" dell’ANAF (n. 12, novembre 1973). Nell’ottobre del 1973 è uscito difatti il primo volume della ristampa (sempre "anastatica", ovviamente) del glorioso "Avventuroso". Sono i primi 12 numeri, l’introvabile annata 1934. A cadenza semestrale, seguiranno tutte le altre, e il progetto continuerà a essere portato avanti nonostante gli inevitabili momenti di crisi, fino a concludersi, nell’arco di oltre un decennio, con l’uscita del ventesimo volume, non rilegato, contenente gli 11 numeri finali editi da Mondadori nel 1943. Un’opera unica, nel suo genere: 450 fascicoli, per lo più di grandissimo formato, in gran parte a colori. Uno sforzo encomiabile, e certo non manca il successo: a ogni mostra mercato, almeno fino al 1978/79, il grande stand della Nerbini è letteralmente preso d’assalto da nostalgici lettori. A Lucca, per acquistare un albo arretrato di Cino e Franco, occorre fare la coda. Pichierri e Signora ristamperanno praticamente tutto ("Il giornale di Cino e Franco", "Il Piccolo Avventuroso", "Giungla!", "Pisellino", giornali su giornali, albi su albi), ricostituendo in qualche modo un leggendario archivio che era stato disperso o distrutto molti anni prima.

Già, ma è venuto il momento di chiedersi: che cos’è in realtà una "ristampa anastatica"? Se ne parla a proposito e a sproposito: "anastatica" è diventata una vera parola magica, che per tutti equivale a "identica all’originale". Ma i pochi che hanno modo di confrontare albi e giornali con gli "originali", notano delle notevoli differenze, sia nelle parti a colori che in quelle in bianco e nero (ma solo in un articolo del poco diffuso "Sgt. Kirk" si "denuncia" la cosa). Se consultiamo l’Enciclopedia Italiana (la famosa "Treccani"), scopriamo che si tratta in effetti di un procedimento inventato alla metà dell’Ottocento per ricavare nuove copie da vecchie stampe, identiche all’originale. Citiamo testualmente dal XXIX volume della veneranda opera, pubblicato - si badi bene - nel 1936, pag. 408 e seg.:

 

RIPRODUZIONE ANASTATICA. - Si dà questo nome a un processo, inventato verso la metà del sec. XIX, mediante il quale si possono ottenere buone riproduzioni di vecchie stampe e documenti: questi vengono previamente lavati con una miscela di acqua, alcool e acido solforico, che ne ravviva i contrasti, e quindi spalmati con inchiostro litografico e decalcati su zinco o su pietra. Tale procedimento è oggi [1936! N.d.R] superato da varî altri metodi di riproduzione (V. GRAFICHE, ARTI). Il termine di riproduzione anastatica è peraltro anche applicato a tutte le stampe ottenute con processi di decalco. (V. anche INCISIONE; LITOGRAFIA) .

 

C’è da rimanere quanto meno perplessi: alcool? Acido Solforico!? Già superata, come si vede, negli anni Trenta, la "ristampa anastatica" non ha nulla a che vedere, ovviamente, con i sistemi in uso nella prima metà degli anni Settanta per ottenere riproduzioni "tali e quali" da vecchi albi e giornali. Intorno al 1974, quando Pichierri inizia a ristampare "L’avventuroso", ha a disposizione sostanzialmente tre possibilità. Può fare un’accurata selezione fotografica del colore dei giornali d’epoca, ottenendo così gli impianti pressoché perfetti per una ristampa a colori assai vicina all’originale. Può invece fare una selezione che estragga il solo nero (o meglio l’azzurro, come vedremo), provvedendo poi a ricolorare manualmente ex-novo il tutto, seguendo la falsariga della prima edizione: il procedimento è macchinoso, ma senza dubbio più economico. Pichierri decide per una terza possibilità: per risparmiare ulteriormente sui costi, fa una selezione che toglie solo il rosso, che altrimenti diventerebbe nero nella nuova pellicola. Le stampe Nerbini d’epoca, fortunatamente, sono quasi tutte in tricromia: il giallo praticamente non si vede (magari impasta un po’, ma tanto la nostalgia è più forte...); il cyan/azzurro può tranquillamente diventare nero (un nero un po’ sporco...), tanto poi lo si stamperà con inchiostro azzurrino. Insomma, per risparmiare ai lettori ulteriori disquisizioni tecniche, diremo che il primo volume de "L’avventuroso", attesissimo da migliaia di appassionati di tutte le età (è un autentico "ritorno del Mito"), uscito quasi esattamente quarant’anni dopo l’originale, è un po’ troppo poco fedele, almeno nelle pagine a colori. Ma va a ruba ugualmente.

C’è un solo piccolo problema. Nel maggio del 1973 è uscito in edicola un periodico di fumetti (peraltro tutti interessanti) che - guarda caso - si chiama proprio "L’avventuroso": non solo, riporta tale e quale la classica testata disegnata nel 1934 da Giorgio Scudellari. Apriti cielo! Alla Nerbini sono furenti, e tempestano di telefonate il sedicente editore "Sole" di Milano (Francesco Paolo Conte), il quale cambia la testata togliendo i disegni di contorno. Ma non basta: scatta una causa civile, perché l’editore del neo-Avventuroso dichiara di aver regolarmente registrato la testata, e non intende recedere, anzi passa al contrattacco accusando proprio Nerbini di aver usato il classico logo senza averne il diritto. Il fantasma del povero "Avventuroso" è tirato come un lenzuolo da una parte e dall’altra, ma prima che si strappi giunge una sentenza che in qualche modo sistema le cose. "L’avventuroso" redivivo potrà consumare la sua breve parabola, prima in formato albo, poi in giornale, e Nerbini proseguirà indisturbato nelle sue ristampe, per la gioia di tutti gli appassionati.

 

7. Rinaldo in campo

Gli amatori delle edizioni "filologiche", comunque, non resteranno "orfani". Tramontato l’astro di Traverso, si affaccia di nuovo alla ribalta editoriale uno dei più importanti personaggi del comicdom nostrano e internazionale, Rinaldo Traini. Dalla sua posizione altamente strategica, all’interno del Salone Internazionale dei Comics di Lucca, il critico ed editore romano ha buon gioco nell’orchestrare un sapiente battage pubblicitario che si avvale anche delle pagine della rivista "Comics", organo ufficiale del Salone. Le edizioni della risorta Casa Editrice Comic Art intendono innanzitutto imporsi per la loro economicità. Nei redazionali di presentazione si allude chiaramente al fatto che fino ad allora gli editori "amatoriali" avevano lavorato con bassissime tirature e con prezzi decisamente troppo alti (ricordate la polemica su "Eureka", che abbiamo rievocato la volta scorsa?). Poi si punta molto, lodevolmente, sulla professionalità delle collane, curate nei particolari, molto ben tradotte, con materiale che proviene dalle proofs del KFS o quanto meno dalle validissime riproduzioni della San Francisco Academy of Comic Art di Bill Blackbeard. E poi si punta anche sulla quantità e sulla varietà: il formato della maggior parte degli albi è più piccolo di quello classico "all’italiana", ma sempre godibile (anche se si perde molto del fascino "anni Trenta"). Come inaugurazione (febbraio 1974) esce un volume (serie "Yellow Kid" n. 1) dal titolo Avventura in Kandelabria, con le strisce inedite del fondamentale Wash Tubbs di Roy Crane. Vengono anche inaugurate le serie di Cino e Franco di Lyman Young e Nat Edson (strisce giornaliere del periodo bellico, inedite in Italia) e di Agente segreto X-9 di Nicholas Afonsky e George Storm. Seguiranno a ruota Terry and The Pirates di Milton Caniff (e questo sarà un autentico Evento, per la straordinaria importanza dell’autore e del fumetto), Johnny Hazard di Frank Robbins, Little Annie Rooney di Darrell McClure (uno splendido volume). In seguito si strizzerà anche l’occhio ai "nostalgici": come premio per l’iscrizione al "Comic Art Club", che viene inaugurato nell’anno 1977 (con sconti che vanno dal 30 al 50% a seconda della quantità di materiale acquistato) si prometterà nientemeno che la ristampa dei primi 26 numeri de "L’audace" a fumetti, un giornale d’Anteguerra fra i più rari e leggendari.

Gli appassionati "filologi", irretiti da una sapiente e godibilmente autoironica pubblicità ("Ritorna la prestigiosa e indimenticata editrice Comic Art. In programma tutti i personaggi più famosi dei comics nelle comic-proof domenicali a colori formato Gertie giornaliere, bicromo d’epoca, tutto patinato [...] dopo queste edizioni non rimarrà che procurarsi gli originali o catturare gli autori" - "Comics" n. 6, maggio 1973), mettono mano con entusiasmo al portafoglio. Gli altri editori "amatoriali" accusano il colpo, ma inizialmente non ci sono sovrapposizioni di serie pubblicate. Poi, inaspettatamente, arriva la stangata: la Comic Art annuncia una terza (!) edizione delle strisce giornaliere di Brick Bradford, dopo quelle del Nuovo e "vecchio" Club anni Trenta. Ma questa è diversa, assai più popolare: si comincia con Il signore dell’abisso e Il viaggio nella moneta, presentati a Bologna (1974) alla mostra dell’ANAF, a Palazzo di Re Enzo. Sono due alboni giganteschi (serie "Gertie Daily" nn. 1 e 2) di ben 48 pagine ognuno, con tutte le 546 strisce della due leggendarie storie in un piacevole colore azzurrino. Il prezzo? Solo 1.500 lire a episodio, contro le 9.000 che occorrono per acquistare, per esempio, l’edizione di Traverso in due albi. È un urto insopportabile, sia per Scotto che per l’industriale genovese, che fra l’altro dovrà presto sospendere, per motivi misteriosi (ma non troppo), l’attività del "Nuovo Club Anni Trenta". Traini prosegue a ritmi serrati con gli alboni di Ritt e Gray, ora un po’ più "smilzi" ma sempre estremamente competitivi. Ma più che togliere mercato agli affezionati dei due Club Anni Trenta, Traini - grazie ai prezzi "popolari" - recluta lettori del tutto nuovi. Se ne accorgono Scotto e Traverso, dopo essere corsi ai ripari. Cosa avviene, infatti, dopo il primo momento di sbandamento? A Lucca, nell’ottobre del 1975, appare nientemeno che una ...quarta serie delle strisce giornaliere di Brick Bradford! Alboni anche questi, in tutto e per tutto simili a quelli Comic Art, a prezzo ancora inferiore... Non ci si capisce più niente: i fascicoli (La porta di cristallo, Il trono di Titania, ecc.) escono con tempestività più che sospetta in contemporanea a quelli di Traini, e circolano a Lucca fra i banchi degli espositori, ma l’editore è un fantomatico "Pacific Comic Club", che non ha uno stand, e risultano stampati a Tahiti, in ...Polinesia! Qualcuno, maligno, insinua che siano opera di Scotto e Traverso, rimessisi insieme per l’occasione in funzione anti-Comic Art. Traini grida al tradimento, con toni da difensore di Fort Alamo: "Cari lettori della Comic Art, è in atto contro la nostra Editrice una massiccia offensiva condotta su vari fronti (...) se la Comic Art cessasse le pubblicazioni, sarebbe di nuovo possibile praticare gli ingenti ed esosi prezzi (...) Contrariamente alle nostre abitudini, non possiamo annunciare il programma del 1976. Recentemente si è verificato il fatto increscioso che altri editori hanno presentato in concomitanza con le uscite delle nostre edizioni, albi che per la loro similarità con i nostri, hanno suscitato presso i nostri lettori diffuse perplessità. Di conseguenza, per non incorrere ancora in infortuni del genere, saremo costretti d’ora in avanti ad annunciare i nostri titoli solo in occasione della loro uscita" ("Comics" Anno XI n. 22, dicembre 1975). Ma insomma, è possibile che gli appassionati tollerino questa assurda proliferazione di Brick Bradford identici tra loro, quando ci sono fior di capolavori inediti da presentare in Italia? Evidentemente sì, perché tutte le collane (sic!) si vendono egregiamente.

Ma la marcia della Comic Art è inarrestabile. Le serie si aggiungono alle serie, e negli anni il catalogo arriva a coprire la quasi totalità del fumetto classico sindacato americano, oltre a una nutrita serie di "anastatiche". Nel dicembre 1985 viene portata a termine la prestigiosa edizione integrale del Terry and the Pirates di Milton Caniff, l’unica completa esistente al mondo; nel luglio 1996 (oltre vent’anni dopo l’inizio!) quella del Brick Bradford giornaliero, che nel frattempo (con la striscia del 25 aprile 1987) ha cessato le pubblicazioni negli Stati Uniti. Nonostante il progressivo affievolirsi dell’interesse intorno ai "mostri sacri" del fumetto americano sindacato, Traini tiene sempre fede ai suoi programmi, e oggi (nel 1997) il suo catalogo conta oltre 2000 pezzi, fra albi e volumi! Mandrake, Phantom, Gordon, Steve Canyon, Rip Kirby, Radio Patrol, Topolino e molti altri, tutto è ormai disponibile addirittura in più edizioni. Nel campo delle "anastatiche", viene ristampato fra l’altro tutto "L’audace" classico (i numeri 60/330). Ma non corriamo troppo, perché le cose, negli anni Settanta, si complicano ulteriormente, e c’è molto ancora da raccontare.

 

8. Le edizioni di Camillo Conti, di Franco Grillo e dei Piacentini

Intorno al 1973, il terzetto Alessandrelli-Conti-Grillo, sotto l’ala protettiva dell’ANAF, comincia a scricchiolare. Cosa succede? Il primo ad allontanarsi è Alessandrelli, che torna a essere un "semplice" collezionista. Gli altri due, sotto il marchio ANAF, proseguono per un po’ a produrre insieme cose egregie: un secondo volume di X-9 di Mel Graff; i primi albi di una splendida "cronologica" del Jeff Hawke di Sydney Jordan; alcuni altri titoli della serie jacovittesca "Lisca di pesce". Alberto Lenzi, intanto, ha dato forfait, e la collana cronologica di Audax rimane a metà (ci penserà lo stesso Conti a rilevarla). Poi, come era successo in precedenza a Scotto e a Traverso, i due si separano: Conti prosegue in proprio le collane iniziate come "Albi ANAF"; Grillo si appresta a fondare l’E.G.A. (Editrice Grandi Avventure). Camillo Conti dimostra una straordinaria serietà e affidabilità: sceglie accuratamente il campo in cui operare, evitando ogni possibile sovrapposizione con altri editori. Si specializza nel pregevole fumetto inglese sindacato (oltre ad Hawke, Garth, Modesty Blaise, Matt Marriott, James Bond); nelle riedizioni di alcuni grandi maestri italiani (oltre a Jac, Franco Caprioli); nella riproposta "anastatica" (di grandissima qualità, peraltro) di alcune prestigiose testate: "I tre porcellini", per esempio, l’omonima collana di albi, e poi gli "Albi d’oro" non disneyani del Dopoguerra. Il suo capolavoro è però la collana di volumi, tutti a colori, con l’integrale del Prince Valiant di Harold Foster: ben 30 tomi, con 1820 tavole! Purtroppo le uscite di Conti, dopo un inizio effervescente, procedono con il contagocce. Del Valiant manca ancora oggi (1997) un solo volume per completare la serie. Quello delle collane lasciate a metà è un problema che comincia ad affliggere i "collezionisti ristampisti". Finché si parla di Conti, Traini, Scotto, si sa che è solo questione di tempo (ma di quanto tempo?). In tanti altri casi, editori-meteora si volatilizzano quando le serie sono addirittura appena iniziate. Altre volte è lo stesso pubblico che decreta la chiusura di collane che avrebbero avuto tutte le qualità per essere portate in fondo. Facciamo un caso per tutti: nel novembre del 1976, a Lucca, Luigi F. Bona (di cui parleremo più avanti) lancia il primo albo della splendida Connie di Frank Godwin, a 1.500 lire il fascicolo. Le strisce iniziali sono leggerine, umoristico-avventurose, ancorché splendidamente disegnate; ma gli appassionati più avvertiti sanno bene che dopo il 1935 la serie si trasforma in una delle più fascinose epopee d’avventura fantascientifica di tutti i tempi. Basterebbe avere un po’ di pazienza, ma non c’è niente da fare: dopo appena tre fascicoli, si deve chiudere. E Connie sparisce, praticamente per sempre, dai programmi degli editori amatoriali.

Franco Grillo, dal canto suo, annusando l’aria che tira, si rende conto che ci sono molte altre "nostalgie" da sfruttare, e nel giugno del 1976 vara la riedizione (manco a dirlo, "anastatica") del Gim Toro di Andrea Lavezzolo e Dell’Acqua, un "must" del Dopoguerra italiano. Un personaggio alquanto datato, decisamente "basso", tanto che giovani e meno giovani appassionati "puri" si domandano: "Che ce ne facciamo di Gim Toro? Quando vedremo i tanti inediti del fumetto internazionale di qualità e le serie interrotte in oltre quarant’anni di editoria?" Tranquilli, ci pensa lo stesso Franco Grillo. La serie di Gim Toro si vende come il pane, i nostalgici abboccano che è un piacere. Ma con gli utili dell’eroe che somigliava vagamente a Tyrone Power, ci si può permettere qualcosa di veramente buono. E allora Grillo, che dimostra di essere un vero appassionato, propone autentiche chicche ai suoi clienti: una cronologica del Judge Wright di Bob Brent e Bob Wells (conosciuto in Italia nel Dopoguerra come Giudice Morris e pubblicato su "Robinson" e sugli "Albi Costellazione"), Vic Flint di Michael O’ Malley e Ralph Lane, e una serie delle strisce giornaliere e delle tavole domenicali di Terre Gemelle (Twin Earths) di Alden McWilliams. Prima che il primo ciclo di attività editoriale di Franco Grillo si chiuda, avremo comunque modo di vedere altre piccole perle. Peccato, però, che le serie appena rammentate si arenino prima di aver coperto un apprezzabile periodo di produzione. Grillo ristampa anche Kit Carson, Saturno contro la Terra e altri classici italiani degli anni Trenta. Un altro editore romano si affaccia al mercato: è Paolo Meloni, che mette in cantiere le strisce giornaliere sindacate di Batman e Superman: purtroppo anche queste collane avranno vita breve. Lasceranno il posto a una banale eroina sexy britannica oggi completamente dimenticata, Axa, che comunque non durerà molto di più dei suoi autorevoli predecessori.

Ancora nel campo dei "filologi del fumetto", operano i Fratelli Piacentini di Milano, con il loro "Golden Comics Club" (è un vezzo duro a morire, quello di voler figurare per forza come associazioni di appassionati, quando si ha comunque un’onesta attività imprenditoriale...). Il loro cavallo di battaglia, nel 1976, è l’edizione integrale del grande Dick Tracy di Chester Gould. Un’impresa che a moltissimi sembra più che temeraria, tanto che alcuni non acquistano gli albi, convinti che la serie si arenerà, come tante, dopo poco tempo. E invece, prima in albi e poi in volumi, pur con qualche problema di resa tipografica, la collana va avanti ed è tuttora in corso, oltre vent’anni dopo il suo esordio: ben 149 fra albi e volumi, a coprire, unica al mondo, la cronologia del fondamentale character americano dall’inizio (1931).

Insomma, alla metà degli anni Settanta, quando arrivano le orde degli "anastatici", gli appassionati "puri", i filologi del fumetto, possono comunque contare sulla Comic Art, su Camillo Conti e sul Golden Comics Club. Dovranno aspettare oltre vent’anni, ma il loro sogno di avere finalmente una fumettoteca americana classica pressoché completa, sarà praticamente soddisfatto.

Un breve accenno agli sfortunati "sedicesimi" di Ennio Ciscato, reduce dall’esperimento della bella rivista da edicola "Sorry": presentano con stretta cura filologica la produzione relativamente recente di personaggi come Buz Sawyer di Roy Crane, Gunner di Salinas, Rip Kirby di John Prentice, perfino il Valiant di Foster e Murphy. Escono anche alcune ristampe italiane dei classici mondadoriani anteguerra (Il solitario dei Sakia, Il dottor Faust, Il diamante azzurro, ecc.). Poi la serie si interrompe bruscamente nei primi anni Ottanta, lasciando orbati i collezionisti di un solo numero: il 59, dedicato al Rip Kirby di John Prentice. Il vuoto sarà poi colmato, qualche anno più tardi, da una edizione "pirata": e di tali personaggi, corsari, bucanieri d’ogni genere, avremo presto da parlare in abbondanza.

 

9. Il breve ritorno di Traverso e la lunga storia del Club Anni Trenta

Che fine ha fatto il Nuovo Club Anni Trenta di Ernesto Traverso? Ufficialmente si è sciolto, una volta completate le collane in sospeso: ma gli ultimissimi titoli delle serie giornaliere di Cino e Franco e della Radio Pattuglia sono circolati pochissimo, tanto che ancora oggi mancano alle collezioni di molti collezionisti della "vecchia guardia", e sono rari come albi d’antiquariato. Poi è uscita una ristampa dell’albo Capitan Fortuna di Albertarelli (edizioni Audace 1942), e infine il silenzio. Ma l’appassionatissimo industriale genovese non si è lasciato troppo intimidire da una serie di difficoltà, in parte - poco sportivamente - procurategli da altri, e moltissimi sono convinti che ci sia lui "dietro" alle iniziative di due nuovi editori che si affacciano nella seconda metà degli anni Settanta, il "Pacific Comics Club" (proprio lo stesso degli albi anti-Comic Art...) e poi il "Comics Stars in the World". I quali presentano - finalmente! - delle edizioni "filologiche" delle strisce giornaliere di Mandrake, il proseguimento degli albi "orizzontali" di Brick Bradford (che vanno ovviamente a sovrapporsi a quelli della Comic Art), e una serie purtroppo colorata delle strisce giornaliere di Phantom. E poi Charlie Chan, le domenicali di Cino e Franco finalmente a colori, e l’Ispettore Wade... Quest’ultimo sarà poi sballottato tra almeno tre diversi editori, senza che ancora oggi ne esista un’edizione veramente completa. Le iniziative sono allettanti, gli albi sono curati quanto quelli mai dimenticati del Nuovo Club Anni Trenta. Ma quando sono già usciti diversi titoli, e annunciati molti altri, anche i due fantomatici club spariscono dalla scena. Tanti collezionisti restano con un palmo di naso, con le loro serie lasciate a metà. Ci penserà - assai tempestivamente - la Comic Art a proseguirle, ma ripartiranno tutte da zero. Charlie Chan passerà ai Fratelli Voltolina, commercianti d’antiquariato che si trasformeranno in editori amatoriali e saranno fra gli ultimi - come vedremo - a resistere sulla breccia nei tardi anni Novanta. Ernesto Traverso, comunque, non abbandonerà mai i fumetti, continuerà a frequentare regolarmente le mostre e infine diverrà consulente della Mondadori, per alcune fondamentali produzioni disneyane di cui parleremo più avanti.

Ma torniamo un’ultima volta al 1971, per chiudere qualche argomento lasciato a metà. Dopo il divorzio da Traverso, Silvano Scotto non sta certo con le mani in mano. Le serie cronologiche che realizza sono certamente assai prestigiose, e negli anni molti altri autori e personaggi si affiancano a quelli "classici". Le giornaliere di Brick Bradford (è stato lui a presentare per primo, in Italia, la mitica prima avventura, quasi inedita, Amaru la città sottomarina) tirano avanti fino al n. 14, quelle domenicali di Clarence Gray fino al n. 69, prima di essere schiacciate dalle edizioni Comic Art. La serie quantitativamente più importante che il Club riesce a portare a termine è quella del Johnny Hazard giornaliero di Frank Robbins (144 albi), e di quello domenicale, con 89 albi a colori, usciti tra la metà degli anni Ottanta e il 1996. Quella più "eroica" e più cara ai "ragazzi degli Anni Trenta" è la serie delle strisce giornaliere inedite di Cino e Franco dall’inizio (1928) fino al prologo di Sotto la bandiera del Re della Giungla (1933). Per procurarsi le strisce più antiche, con l’aiuto dei fratelli Piacentini, Silvano Scotto si è recato negli Stati Uniti e ha acquistato in blocco l’archivio del "Benton Evening News", l’unico, piccolo quotidiano americano che aveva pubblicato la serie fin dall’inizio! Un’impresa lodevole e titanica, e poco importa se poi Nerbini utilizzerà lo stesso materiale per un’edizione economica. E poi Scotto completa l’unica edizione mondiale del fondamentale Red Barry di Will Gould, Il Rip Kirby di Alex Raymond, Secret Agent X-9 sempre di Raymond, in due splendi volumi e in una serie di albi bicolori; Flash Gordon (33 albi a colori), sempre del grande autore americano. Altre serie non vengono completate, ma i titoli accumulati sono comunque molti: è il caso del Buck Rogers domenicale (46 albi). Ma Scotto presenta anche curiosità e rarità: qualche albo di Curley Harper e The Kid Sister di Lyman Young (ghosted by Alex Raymond!), l’introvabile Charlot di E.C. Segar, futuro "papà" di Popeye; Betty Boop; Blondie di Chic Young; Annibale di Ad Carter, Castor Oyl di Segar. Anche il catalogo del Club Anni Trenta è di tutto rispetto: oltre 500 titoli, quasi tutti ancora disponibili, che Silvano Scotto e Signora continuano amorevolmente a presentare a tutte le mostre mercato, insieme a una nutritissima scelta di prestigiose tavole originali dei grandi maestri americani e italiani.

Fermiamoci un momento a riflettere. La "corsa alla ristampa amatoriale", in Italia, brucia in meno di un decennio una quantità di iniziative davvero enorme. L’attività è tanto frenetica che si arriva a un paradosso, che indubbiamente ci fa onore: moltissime serie americane sindacate degli anni Trenta e Quaranta, anche fra le più prestigiose, sono edite con criteri filologici solo in Italia. Non solo: gli editori italiani hanno addirittura letteralmente salvato dall’oblìo - e perfino dal macero! - annate intere di importantissima produzione statunitense. Negli Stati Uniti, ancora oggi, gli appassionati (non molti, in verità) di questa splendida e leggendaria produzione, non si sognano lontanamente di avere a disposizione una biblioteca analoga, e si devono accontentare di sporadici volumi. È come se l’unica edizione integrale - per fare un esempio a caso - della Letteratura italiana dell’Ottocento esistesse, in traduzione, solo presso un editore portoghese. Il fenomeno dell’editoria amatoriale italiana degli anni Settanta e Ottanta è decisamente unico, nemmeno sfiorato da analoghe iniziative francesi e spagnole.

Ma c’è un "ma". Un decennio di indigestione di classici non ha prodotto solo effetti positivi. Il pubblico, anche quello degli appassionati più entusiasti e consapevoli, ha finito per disorientarsi. E degli acquirenti collezionisti "feticisti" (autentici non-lettori), senza nemmeno l’attenuante della nostalgia, diremo fra poco.

 

10. Fanzines e Prozines fra anni Settanta e Ottanta

Con il boom dell’ "amatoriale", molte fanzines della "prima ora" chiudono i battenti, altre si trasformano radicalmente. Chiude definitivamente "Comics Club 104" di Paolo Sala e Alfredo Castelli, che ha dato inizio a tutto; anche "Comics Word" di Gianni Bono e Nino Bernazzali chiude i battenti, ma Bono, nel gennaio 1973, lancia "If - Immagini & Fumetti", rivista legata alla manifestazione genovese delle "Tre giornate del Fumetto". "If" parte bene, con servizi molto interessanti sui protagonisti del fumetto italiano e interviste a operatori del settore prima ignorati dalla critica, come per esempio i distributori e i tipografi. Inoltre Bono inventa due rubriche (Edicola ed Ecofumetto), la prima delle quali segnala sistematicamente e con regolarità tutte le uscite a fumetti in Italia, mentre la seconda scheda tutti gli interventi critici sul Fumetto apparsi sulla stampa non specializzata: due strumenti di lavoro senz’altro fondamentali per gli storici del futuro. La prima "incarnazione" di "If" regge per 23 numeri, gli ultimi dei quali (nonostante iniziative di indubbio interesse come la presentazione in anteprima delle tavole domenicali del Tarzan di Rex Maxon e una serie di storie del Garth di Frank Bellamy) accusano una certa stanchezza. Con il n. 17 dell’anno IX, la rivista di Bono, già organo del club Gli Amici del Fumetto di Genova, sparisce dalla circolazione. Ci saranno altre due "reincarnazioni" successive, di cui parleremo a tempo debito.

"Comics" è e resta il catalogo di Lucca, e dopo la fondazione della "Comic Art" supporta le iniziative editoriali di Traini. Alcuni supplementi sono di straordinario interesse: le monografie Lotario Vecchi Editore e Il giornalinismo italiano del Dopoguerra di Ezio Ferraro; 100 anni-eroi il fumetto inglese di Denis Gifford. I collezionisti più maniaci impazziranno, a causa di una simpatica trovata pubblicitaria di Traini: "Comics", con periodicità nominalmente settimanale, ospita i periodici comunicati della Comic Art sulle novità editoriali. Sono fascicoletti di poche pagine in bianco e nero, molto gradevoli e illustratissimi, ma numerati insieme alla rivista regolare! Sarà per molti un’impresa procurarsi una collezione di "Comics" che possa dirsi veramente completa.

Nel 1973, l’editore Florenzo Ivaldi recupera la testata "Sgt. Kirk", che aveva lanciato in edicola nel luglio 1967, presentando fra l’altro Hugo Pratt nel nostro Paese, trasferita poi al solo abbonamento nel gennaio 1969, ma durata solo fino al dicembre di quell’anno. Per 61 lussuosi numeri, non molto diffusi in verità, "Kirk" continua nella sua opera di presentazione del fumetto sudamericano, con alcuni preziosi articoli di critici del calibro di Ernesto G. Laura, Claudio Bertieri, Sergio Trinchero. L’iniziativa si arena nel maggio 1979, dopo essere passata all’editore Lo Vecchio.

Nel giugno del 1976, Luigi F. Bona presenta una rivista a suo modo rivoluzionaria: si chiama "Wow", costa solo 500 lire, ha un formato più piccolo di quello usuale e un orizzonte culturale certamente più ampio: non tratta solo di fumetti più o meno nuovi, per esempio, ma anche di animazione, cinema, letteratura popolare. E ci sono anche un sacco di informazioni sul "dietro le quinte" del comicdom internazionale. La rivista ha un buon successo, esce grosso modo bimestralmente con una certa regolarità per almeno 34 numeri, con alcuni interessanti supplementi, fino al dicembre 1980. Poi, nonostante il varo di una "testata parallela" che finisce per confondere le idee al pubblico, dirada progressivamente la frequenza delle sue uscite, diventa praticamente un "annual", e prima di scomparire quasi del tutto fa in tempo a parlare per prima del tema fumetti e computers, nel n. 40 del 1983. Nell’estate del 1989 esce un "numero zero", seguito a novembre da un n. 1, ufficialmente mensile, distribuito addirittura in edicola. Ma già il n. 3 esce nell’aprile del 1990; il n. 4 non viene mai distribuito; il n. 5 appare a ottobre, ma il n. 6 esce esattamente due anni dopo, a Lucca. Dal n. 8, uscito nella primavera del 1994, di "Wow", non si sente più parlare del tutto. Peccato, perché era una voce intelligente e particolarmente viva.

Il GAF-Firenze, come abbiamo accennato in precedenza, dopo l’infelice esperimento di "Gesto" vara nel 1977 "Exploit Comics", che col n. 23 del giugno 1981 si trasforma in una lussuosa rivista di critica e informazione sul cartooning, molto stimata dalla critica internazionale, e sulla quale si formano alcuni attivissimi "talenti toscani": Alberto Becattini, Andrea Sani, Luca Boschi. I quali collaborano attivamente anche a un’altra rivista di critica fiorentina, la concorrente "Funnies" edita da Mauro Ricciardelli: quindici numeri e due belle monografie, fra il 1978 e il 1982, finché la Casa Editrice si trasforma in Glittering Images cambiando radicalmente - come vedremo fra poco - l’oggetto delle sue attenzioni critiche. Poi nel febbraio 1986 esce il n. 16, in grande formato, e nel maggio del 1989 un corposo (e finale) n. 17. "Exploit Comics" chiude invece la sua parabola nell’ottobre 1991, col n. 51, dopo aver contribuito a lanciare un’ulteriore nuova generazione di critici toscani, fra i quali spiccano Francesco Manetti e Moreno Burattini. Il GAF non si limita a "Exploit": fra il 1981 e il 1990 escono anche alcuni albi e supplementi, 51 numeri della prima serie del "Notiziario Gaf" e 9 "Piccole Guide", preziose "cronologie" del fumetto internazionale.

Il panorama delle fanzines (o forse è meglio dire "prozines"?) fiorentine non sarebbe completo se non accennassimo, sia pur brevemente, all’ottima rivista antologico-critica "Nostalgia Comics", edita dall’infaticabile Luciano La Spisa, titolare de L’Oasi Editoriale. La testata esordisce, in veste particolarmente lussuosa, nel maggio 1981 con un corposo n. 0 di 64 pagine, molte delle quali a due colori. La Spisa è un appassionato del bel fumetto americano sindacato "d’autore" degli anni Quaranta (quello fatto conoscere nell’immediato Dopoguerra dall’indimenticato "Robinson"), ma è attento anche alle strisce "avventurose" fino a tutti gli anni Sessanta. Il carnet di "Nostalgia" è ricco e allettante: pubblica per 14 numeri, fino al dicembre 1984, fra le tante cose interessantissime, Abbie an’Slats di R. Van Buren, Kerry Drake di A. Andriola, Steve Roper di A. Saunders, e poi Li’l Abner, The Spirit, Juliet Jones, Scorchy Smith, e perfino i fumetti italiani di Bellavitis: il tutto stampato in modo impeccabile, con un buon apparato critico di autori italiani ma principalmente americani. La Spisa edita anche alcuni pregevoli e originali volumi (Almanacco di Nostalgia, Vita col fumetto, una monografia su Milton Caniff, alcune graphic novels di Will Eisner). Purtroppo, l’iniziativa si arena: segno che per un certo fumetto di qualità, americano e non, svincolato dalle mode del momento, a metà degli anni Ottanta non c’è più molto spazio. È uno dei tanti, piccoli ma insistenti campanelli d’allarme, nel fumetto amatoriale (ma non solo). Ne parleremo estesamente in seguito.

Avevamo lasciato "Il fumetto" dell’ANAF nel 1971, subito dopo lo spostamento della redazione a Roma, nelle mani di Alessandrelli, Conti e Grillo. La rivista si assesta rapidamente a un alto livello qualitativo, sia dal punto di vista critico-informativo che tipografico. Firme del calibro di Gianni Brunoro e Giulio C. Cuccolini diventano l’ossatura del trimestrale, sempre più ricco e sempre più attento all’evoluzione del fumetto contemporaneo. È proprio questo aspetto, senz’altro positivo, che dispiace ai soci più "nostalgici" e legati al collezionismo classico, ma le polemiche interne sono senz’altro costruttive, e la rivista ne esce sempre rafforzata. Magari Grillo e Conti usano con una certa disinvoltura "Il fumetto" (e spesso anche i tradizionali "omaggi" annuali) per propagandare le proprie iniziative editoriali, ma questo è un peccato veniale, anche perché gli articoli "redazionali" di supporto sono sempre di alto livello, non di rado opera dei già rammentati Brunoro e Cuccolini. Ai collezionisti "classici", poi, viene fatto uno straordinario regalo: a partire dal n. 13 del marzo 1974, la rubrica "Archivio" viene affidata a Giorgio Salvucci, uno dei "mostri sacri" del collezionismo italiano, che recensisce con straordinaria cura e amore una trentina di testate a fumetti "chiave" dell’Anteguerra e dell’immediato Dopoguerra, dal "Corriere dei Piccoli" a "Robinson", con l’elenco completo del materiale pubblicato. Un lavoro formidabile, una vera miniera di dati, che serve da base a tutti gli studi successivi. Peccato che nessuno pensi a una riedizione in volume della fondamentale opera di Salvucci, che soffre di qualche errore e di moltissimi refusi tipografici. Si preferisce, nei primi anni Novanta, tentare una temeraria schedatura ex novo di tutte le testate italiane, dalle origini a oggi, affidando il lavoro a un gruppo troppo eterogeneo di redattori, che fanno ben presto abortire l’iniziativa.

Per lunghi anni, nel bene e nel male, "Il fumetto" segue con attenzione l’evolversi dei comics internazionali, dai "metalloidi" ai Manga, con contributi critici di alto livello e con un’informazione puntuale che si occupa anche dell’"amatoriale". Chi vuol ripercorrere analiticamente il cammino del Fumetto in Italia, non può che rifarsi a "Il Fumetto" e alle sue rubriche. Viene presto a mancare, purtroppo, l’entusiasmo dei semplici soci, che si sentono un po’ "tagliati fuori": l’ANAF è sempre di più una casa editrice come le altre, e sempre meno un’Associazione di "uguali". Da un certo momento in poi, latita un po’ l’informazione internazionale, mentre si finisce per ignorare quasi del tutto (e anche questo è un male) la ricerca seria sul fumetto "classico" americano degli anni Trenta e Quaranta, riciclando a oltranza, purtroppo a opera di incompetenti, cose già risapute. Nel contempo si assecondano le nostalgie dei "nuovi quarantenni", interessati al ciarpame italiano dei tardi anni Quaranta e dei Cinquanta. Poi (ma siamo già negli avanzati anni Ottanta), complici le difficoltà economiche, l’abbandono di molti collaboratori e una certa stanchezza generale, crolla anche il livello grafico. Sono i prodromi della grave crisi che, nel 1992, porterà l’ANAF a Reggio Emilia, nelle capaci mani di Luciano Tamagnini, trasformandosi in ANAFI (Associazione Nazionale Amici del Fumetto e dell’Illustrazione) e ricominciando da capo. Ma anche questa è un’altra storia. Franco Grillo, in pieno boom editoriale dell’ E.G.A., vara l’interessante rivista di fantascienza "Gulliver", che pubblica le strisce giornaliere di Terre Gemelle, Buck Rogers di Tuska e Yager e molti interessanti articoli. L’esperienza dura 15 numeri, dall’aprile 1976 al giugno 1981. Ci sarà poi un "ritorno di fiamma" di 5 numeri nel 1993/95, accompagnati da albi omaggio di Martin Mystère.

Gli anni Settanta non vedono solo, nel mercato amatoriale, le testate "chiave" di cui abbiamo brevemente parlato. Alcune piccole associazioni di appassionati, e anche alcuni privati, realizzano molte fanzines dedicate principalmente al "cedo-cambio" fra collezionisti, ma piene anche di interessanti articoli e "cronologie". Ricordiamo fra tutte "Wanted Comics" di Franco Mastrazzo, e i 24 numeri (dal 1981 al 1985) de "La striscia" di Stefano Mercuri. La più "professionale" è probabilmente "La voce del collezionista italiano" di Guido Lorenzini. Ma intanto, in tutti gli angoli d’Italia, piccoli critici e appassionati crescono: ne vedremo delle belle, a metà degli anni Ottanta.

 

11. Una valanga di "anastatiche"

Il nostro "va e vieni" con la Cronosfera di Brick Bradford (ora che lui è in pensione, possiamo usarla senza problemi) ci tiene ancora incollati alla metà degli anni Settanta. L’esperienza di Pichierri e di Traini sul fronte delle "anastatiche" suscita una grande quantità di imitatori. I quali, ben presto, scoprono che via via, passando gli anni, ai nostalgici succedono i nostalgici: dopo che gli appetiti dei "ragazzi degli anni Trenta" sono stati soddisfatti da Nerbini, legioni di quarantenni che hanno vissuto l’infanzia e l’adolescenza nel Dopoguerra, bussano alle porte dei "ristampisti". Ecco il problema della nostalgia: non conta più la qualità dei fumetti proposti, ma i ricordi struggenti che questi possono suscitare. E così, alle mostre mercato, nel breve volgere di tempo che va dal 1975 al 1978, si presenta un’interminabile fila di editori "anastatici" più o meno improvvisati, spesso quasi dei "fotocopiatori". C’è il redivivo Capriotti di Roma, che ripresenta i suoi tesori degli anni Quaranta in belle riedizioni (il giornale "L’avventura", la cui riproposta viene presentata nell’ottobre del 1976 in occasione della mostra Roma Comics Uno; "Avventura club"; vari albi di Raff, Audax, Mandrake); Il Cartoon Museum di Rho diretto da Camillo Moscati ripresenta (per la verità non "anastaticamente", ma anzi in modo molto curato) i fumetti di Salgari in tutte le salse; Corrado Alessi ristampa il Ciclone di Carlo Cossio; l’ Albatros Produzioni Editoriali presenta un lussuosissimo volume a colori con La ballata del Mare Salato di Hugo Pratt, e poi tutta la saga d’Anteguerra del Gentiluomo di Sedici Anni di Pedrocchi, Albertarelli e Leporini, e anche il buon Fulmine di Baggioli e Cossio nella versione per l’"Albogiornale" degli anni Quaranta; Luigi F. Bona, prima dei già rammentati "Wow" e Connie, aveva presentato la saga sexy-casereccia di Pantera Bionda e alcuni pregevoli volumi di critica del fumetto; il Golden Comics Club, di cui abbiamo già parlato per la fondamentale edizione di Dick Tracy, immette sul mercato (che per ora assorbe tutto come una spugna) altre serie di Dick Fulmine, quello di Scudellari e quello di Cossio del Dopoguerra, e poi Furio Mascherato, Mani in alto!, Occhio Cupo, La pattuglia dei senza paura (fatalmente si arriva - ahimé! - alle "strisce", a suo modo è un cerchio che si chiude), Frisco Bill, Zambo, Plutos e altre piacevolezze; l’A.NA.C.G. di Napoli propone in modo più che dignitoso le storie disegnate da Nadir Quinto per il "Corriere dei Piccoli" degli anni Cinquanta; Silvio Di Miceli riedita Orlando l’invincibile (pregevole opera di Albertarelli pubblicata solo sul raro "Audace" degli anni di guerra), Sciuscià completo, Il piccolo sceriffo, Carnera, Nat del Santa Cruz, El Bravo, Il sergente York; il catanese Luciano Spanò sciorina sui banchi Kinowa, Silver Gek e poi Tomahawk; lo Strip Club di Bologna non ha pietà con Dixi Scott, Pakito, Testa di marmo & Sambuco; Mauro Ricciardelli contribuisce con il peraltro piacevole Kansas Kid... Altre edizioni più o meno autorizzate cominciano a riproporre i classici eroi a striscia di Bonelli e della Dardo degli anni Cinquanta: I tre Bill, Capitan Miki, Il Grande Blek, e così via.

Insomma, come si vede, in poco più di tre anni sui banchi delle mostre mercato, che aumentano di frequenza e sono ormai incentrate quasi del tutto sull’amatoriale, mentre il collezionismo di materiale d’epoca è diventato un fenomeno marginale (oltre a Lucca c’è Bologna, poi Firenze, Prato, Milano, Reggio Emilia, Treviso, Roma) si riversa una quantità indescrivibile di carta stampata, tutta venduta a prezzi salatissimi. Qualche inascoltata Cassandra lancia l’allarme: troppa offerta, si rischia di far crollare il mercato. Ma per ora nessuno ci pensa minimamente, e almeno nel breve periodo, gli ottimisti a oltranza avranno ragione. Nonostante i prezzi decisamente alti, il mercato "tira", assorbe le nefandezze e i tesori con uguale disinvoltura. E non ci sono solo gli "amatoriali", ma anche gli editori professionali (Cenisio, Mondadori, Rizzoli e altri), con nutrite produzioni che fanno concorrenza al "circuito chiuso". Ricordate? Al ritorno dalle mostre, quelli di noi che facevano parte dei "gruppi d’acquisto" per ottenere degli sconti dagli editori, tornavano a casa con le auto stracariche di giornali, albi e volumi. Sembrava proprio che non dovesse finire.

Ma quante di queste cose sono state effettivamente lette dagli acquirenti? Quante, invece, sono state appena sfogliate e poi messe in un cassetto? Quante, addirittura, non sono mai state tolte dalla loro confezione? Ancora i guai della nostalgia: il gusto di riappropriarsi di un misero pezzetto della propria infanzia dura per un po’, poi un giorno ci si stanca, e si smette di acquistare le "novità". Molti altri, disorientati da tanta abbondanza, non hanno saputo cogliere le cose veramente degne di essere sostenute; e gli editori, dal canto loro, hanno ritenuto superfluo e poco commerciale andare a cercare cose valide e inedite.

(2. Continua)