YAMBO, CUSTODE E PROFETA DELL’IMMAGINARIO

 di Leonardo Gori © 

Enrico de’ Conti Novelli da Bertinoro, patrizio di San Marino, figlio del grande e celebrato attore Ermete, nato a Pisa il 5 giugno del 1876 ma cittadino d’adozione di Firenze, fu una delle vittime più illustri della Seconda Guerra Mondiale. Morì infatti il 29 dicembre 1943, per un attacco di cuore, durante uno dei rari bombardamenti del Capoluogo toscano. Nella tragedia, forse, il Destino volle compiere un’opera pietosa: Yambo, artista fra i più eclettici, nutrito dalla Cultura e dallo spirito dell’Ottocento, innovatore negli anni dal ‘900 al 1940 ma nel miglior solco dell’ Art Noveau, del Liberty, del Déco, non avrebbe potuto tollerare la banalità e la volgarità del Dopoguerra.

Non lo avrebbe potuto in alcuno dei campi in cui si era distinto come innamorato interprete della tradizione e insieme delle nuove tendenze artistiche. Yambo illustratore di libri - e di riviste, di "dispense", di racconti pubblicati sui giornali a fumetti - in uno stile che prendeva le mosse da Albert Robida, avrebbe dovuto sopportare la scomparsa, più o meno a cavallo dell’anno 1950, della tradizione dei "figurinai" italiani, uccisa prima dalla "colonizzazione culturale" d’Oltreoceano portata dal Cinema, dai comics, da altri mezzi di comunicazione di massa; in seguito scacciata dall’Immaginario collettivo ad opera delle ombre elettriche della televisione. Yambo scrittore si sarebbe trovato, dopo il conflitto, a combattere con un mondo infantile e adolescenziale affatto disabituato ai romanzi e ai racconti "scritti", educato solo ai fumetti che poi avrebbe in gran parte abbandonato per piombare in un’ incredibile sorta di completo "analfabetismo di ritorno".

Yambo autore di Narrativa Disegnata, d’altronde, sarebbe stato ancora più deluso dal "mondo nuovo" sorto dopo il 1945: le sue favolose invenzioni grafiche, il suo senso del meraviglioso, il suo tratteggio Liberty, i suoi "pupazzetti" con gli occhi stralunati, le sue creative didascalie associate con estrema naturalezza ai balloons, il ritmo lento della sua originale narrazione per immagini; ma soprattutto i suoi "robottini", i suoi "uomini verdi", il suo Ciuffettino, avrebbero trovato estraneo e ostile un mondo fatto solo di sceriffi plebei e di raymondiani d’accatto, appena appena temperati dalle genialità distratte di autori come Carlo Cossio.

Forse solo lo Yambo giornalista si sarebbe trovato a suo agio fra le mille terribili, allegre, miserabili storie del Dopoguerra. Enrico Novelli era partito proprio dai quotidiani, collaborando già intorno al 1894 a "La Sera" di Milano. Aveva imparato da un maestro d’eccezione come Luigi Arnaldo Vassallo (il grande Gandolin) a commentare i propri "pezzi" con degli espressivi "pupazzetti", in un’epoca in cui rare erano le foto sui giornali: il suo senso dell’umorismo fu molto apprezzato, e la sua carriera decollò. Yambo rimase pochissimo a Milano, e dopo un anno - la leggenda, alimentata dal figlio Mario, vuole che partisse in bicicletta - si diresse verso Firenze. Ma il Destino lo voleva prima a Roma, dove varò il mensile illustrato "Pupazzetto" (1901), ispirato all’omonimo mensile creato da Gandolin nell’ ‘86, pieno di un’ironia e a volte di un sarcasmo (vi si sbeffeggiava anche D’Annunzio) che restano ancora oggi memorabili. E a Roma Novelli cominciò a scrivere romanzi: già a sedici anni aveva pubblicato Dalla terra alle stelle, ma il suo capolavoro fu Le avventure di Ciuffettino, un personaggio vagamente collodiano che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. Scrisse anche Due anni in velocipede, Gomitolino, Lo scimmiottino verde, Gli eroi del Gladiator, Capitan Fanfara e altri libri per ragazzi. In seguito si sarebbe rivolto anche ai "grandi", con romanzi illustrati densi di un umorismo moderno e a volte, addirittura, coraggioso. Diresse anche vari settimanali umoristici, e fu co-fondatore del celebre "Il Travaso". Collaborò anche a "Il Novellino", forse il primo "giornale a fumetti" italiano.

Poi, finalmente, fu la volta di Firenze. E al quotidiano "La Nazione" Yambo trovò una vera casa, vi si "insediò". Sensibilissimo a ogni novità artistica ma anche tecnologica, divenne anche regista cinematografico, realizzando prima un Otello (1909) e poi, praticamente tutto da solo (ne fu anche interprete e produttore) il film Fiorenza mia! (1914). Fu corrispondente di guerra, e "arruolò" anche il suo personaggio di carta nell’immane tragedia, pubblicando proprio sotto l’egida de "La Nazione" Ciuffettino alla guerra. La carriera giornalistica di Yambo procedeva spedita: dopo una breve parentesi napoletana (al glorioso "Mattino"), divenne Direttore de "Il Nuovo Giornale" fiorentino dal 1927 al 1943. A un’altra sua passione, la scena, dedicò I fantocci di Yambo, teatro di marionette che girò il mondo dal 1919 al 1943 e che nel 1938 apparve anche in un film, Marionette. Ma per il Teatro scrisse anche commedie "serie", come Un onorevole in vacanza, Papà Gennaro, La cometa.

Negli anni Trenta, insieme al "pentito" Antonio Rubino (che aveva dato l’ostracismo al linguaggio dei fumetti nel 1908 e che invece trent’anni dopo difese a spada tratta i balloons), scoprì le potenzialità della narrazione per immagini. In verità già nel 1920, su "La Nazione", disegnò una serie a fumetti dal titolo Le avventure di Lasagna. Ma a Firenze, per una coincidenza felice voluta forse dal solito Destino, operava anche il geniale Mario Nerbini, fondatore di "Topolino" e de "L’avventuroso", importatore in Italia di Gordon, Mandrake e compagni, iniziatore di un’autentica epopea. Yambo trovò naturale trasporre i suoi "pupazzetti" dalla pagina scritta a quella disegnata. Così Ciuffettino prese vita sulle pagine del "Giornale di Cino e Franco" e sugli albi di Via Faenza. Quando "Topolino" fu ceduto a Mondadori, l’editore milanese ebbe la saggezza di proseguire la collaborazione col geniale autore fiorentino, e sul settimanale milanese la narrativa a fumetti d’anticipazione si accrebbe di nuove perle con Gli uomini verdi e I Pionieri dello Spazio. Anche Ciuffettino trasmigrò per un periodo (dal 1941 al ‘43) sul settimanale disneyano (Lo "Spirito Disney" e l’arte dei nostri figurinai non erano evidentemente ancora in antitesi). Su "I tre porcellini", sempre di Mondadori, Yambo disegnò il suo fantascientifico Robottino (1935), con sequenze straordinarie (come la "passeggiata spaziale" dei protagonisti, intenti a riparare un autentico satellite artificiale) che erano incredibilmente anticipatrici.

Ma Yambo continuò a collaborare anche con Nerbini: e fu la volta di straordinarie "visioni storiche" a metà fra realismo e sogno, con sfumature surreali, come il Giulio Cesare pubblicato sul "Giornale di Cino e Franco", oppure di deserti quasi metafisici e ancora disperatamente Liberty come Il segreto dell’oasi di Cufra (sull’ "Avventuroso" del 1938). E ancora Oltre le frontiere della civiltà e L’anello degli incas (sempre su "L’avventuroso", 1939 e 1940), o Makanis il bandito senza volto ("Piccolo Avventuroso" 1936) o infine Orlandino cuor d’acciaio, pubblicato nel 1938 sullo sfortunato settimanale "Pinocchio", col quale Mario Nerbini e Paolo Lorenzini (Collodi Nipote) tentarono inutilmente una discutibile "modernizzazione" del burattino in chiave di "stile Novecento".

Yambo ci ha lasciata incompiuta un’Odissea a fumetti, realizzata nel 1943 e composta di 60 tavole, quasi tutte "finite". E’ mancato fino a ora il coraggio per una loro proposta al pubblico. Ma adesso, forse, che l’eredità culturale di Yambo è ancora più viva e vitale, possiamo concederci di coltivare un’esile speranza.